Un po’ come è capitato a Pieterjan Benoit, autore di questo articolo, da circa un anno lo UX writing è diventato la mia più grande ossessione perché, attraverso le parole, permette di avvicinare la tecnologia alle persone e viceversa. Questo mondo mi affascina così tanto che quasi tutte le letture che faccio e le attività di formazione a cui mi dedico riguardano questa disciplina.
Sono felice di potervi dire che da oggi sul mio blog troverete le versioni tradotte in italiano di alcuni degli articoli pubblicati sul blog di UX Writing Hub, la piattaforma dedicata agli aspiranti UX writer. Spero che questi approfondimenti possano aiutarvi a conoscere più da vicino questo fantastico mondo, e che possano aiutare me a diventare una dei sempre più numerosi UX writer italiani.
Da 13 anni ormai mi occupo di traduzione a tempo pieno, ho quindi deciso di partire dal perché chi si occupa di localizzazione ha buone probabilità di cavarsela anche con lo UX writing. Buona lettura!
Articolo originale: 4 reasons localization experts are a perfect fit for UX writing
Autore: Pieterjan Benoit
Da un paio di anni a questa parte ho sviluppato una sorta di ossessione per l’ultima tendenza in fatto di usabilità: lo UX writing. Questa disciplina consiste nell’elaborazione di parole e frasi in grado di plasmare l’esperienza degli utenti, guidandoli attraverso un prodotto digitale grazie a testi chiari, concisi e utili. Gli UX writer progettano l’esperienza utente servendosi delle parole.
Da qualche mese ricopro il ruolo di tutor nell’ambito della UX Writing Academy di UX Writing Hub. Mi è stata data l’opportunità di riscoprire la mia passione per le lingue e la traduzione grazie all’iscrizione alla conferenza online dedicata ai professionisti della localizzazione, LocWorldWide. Ho avuto il piacere di ascoltare le storie, i progetti e le sfide dei responsabili delle attività di localizzazione di alcune importanti aziende internazionali come Microsoft, Atlassian, Shopify, Adobe e molte altre.
Trattandosi di una disciplina nata di recente, chi si occupa di UX writing proviene da tutta una serie di background diversi tra loro. Alla fine della conferenza mi sono in ogni caso convinto del fatto che anche i professionisti della localizzazione vantano tanta affinità con gli UX writer quanta ne vanta chi svolge altre professioni “più tradizionali” (come il giornalismo, la comunicazione, la psicologia o il design) e che più spesso effettua il passaggio allo UX writing.
Ecco quattro motivi per cui credo che i professionisti della localizzazione possano diventare degli ottimi UX writer in men che non si dica!
1. Si divertono a giocare con le parole
Spesso e volentieri gli UX writer si trovano a usare le parole in modo creativo. Ogni giorno hanno a che fare con limiti in termini di caratteri, vincoli in fatto di design o altri aspetti che riguardano i testi relativi alle interfacce che li costringono a usare le parole per trovare soluzioni ingegnose.
In altri casi hanno soltanto la sensazione che una certa parola o una certa espressione non corrispondano a pieno a ciò che vorrebbero dire, o che non rispecchino ciò che l’utente prova in quel determinato momento dello user journey. In questi casi conoscere molte parole e comprenderne le sfumature può risultare alquanto utile.
Molti professionisti della localizzazione vengono dal mondo della traduzione, della filologia, del giornalismo o da altre discipline che hanno a che fare con la lingua. Spesso conoscono diverse lingue e cercano di sfruttarle il più possibile. Divorano libri in una lingua, ascoltano musica in un’altra e di sera si rilassano guardando serie tv in una terza lingua. Sono le classiche persone che quando sono in vacanza all’estero imparano sempre qualche parola nella lingua locale. Per loro le parole sono una sorta di incantesimo che apre le porte di territori sconosciuti.
Conoscono benissimo la propria madrelingua e una o più altre lingue nel relativo contesto culturale. È per questo motivo che possono attingere a una serie infinita di parole, espressioni e modelli di pensiero per illustrare esattamente i concetti che hanno in mente.
Durante la conferenza, Christian Artopé di GUB:Berlin, agenzia pubblicitaria con sede a Berlino, ha presentato un ottimo esempio di quanto i professionisti della localizzazione possano utilizzare le parole in modo creativo.
Il loro cliente, il servizio di car sharing Berlkönig, è noto in tutta Berlino per l’irriverente senso dell’umorismo che caratterizza le sue pubblicità. Per raggiungere anche le persone che si trovavano a Berlino ma non parlavano tedesco, dovevano trovare il modo di tradurre in inglese lo sfacciato senso dell’umorismo delle loro campagne pubblicitarie in tedesco.
Una delle loro pubblicità mostrava un minivan Berlkönig parcheggiato proprio di fronte a un locale per scambisti (ovviamente non è di scambi ferroviari che stiamo parlando). Il testo in tedesco recitava “In Berlin teilt man doch gerne”, che si traduce con “A Berlino la gente ama condividere”.
Avete colto il doppio senso, non è vero? Se gli abitanti di Berlino non hanno bisogno di condividere un’auto, potrebbero in ogni caso voler condividere il proprio partner. Tuttavia, una traduzione letterale in inglese non avrebbe trasmesso la stessa sensazione del testo originale in tedesco, che lasciava subito intendere il riferimento di natura sessuale.
La sfida è stata quella di individuare un’espressione che facesse riferimento sia alla corsa con il minivan che… be’, a un altro tipo di attività.
Ecco cosa ne è venuto fuori.
Ingegnoso, non è vero? Anche questa frase si addice sia al minivan che al locale, con un significato diverso ma con lo stesso tono ironico e malizioso.
Si tratta di un esempio perfetto di come conoscere un’infinità di parole, espressioni, riferimenti culturali e avere altre competenze di tipo linguistico permetta ai professionisti della localizzazione di usare le parole in modo creativo. Dato che lo UX writing si prefigge l’obiettivo di scrivere microcopy chiari, concisi, discorsivi e utili, anche i professionisti della localizzazione possono fare grandi cose in qualità di UX writer!
2. Prestano attenzione al contesto
I professionisti della localizzazione sanno bene che una lingua non è qualcosa di a sé stante. È sempre inserita in un contesto geografico, storico e culturale. Possono esservi infinite differenze a livello contestuale: perfino per delle persone madrelingua una traduzione che non tenga conto del contesto può portare a situazioni esilaranti, fuorvianti o spiacevoli.
Chris Jaekl di Shopify ha parlato della sua esperienza di localizzazione di una piattaforma e-commerce per diversi mercati. Ha spiegato in modo chiaro perché sia fondamentale tenere conto del contesto in cui opera l’utente se si vuole dare vita a un’esperienza utente ottimale.
Quando accede a Shopify, l’utente viene salutato dall’interfaccia. Jaekl ha citato l’esempio di un utente che si chiama “Ken Tanaka”. In inglese, così come in italiano, il modo migliore per salutare questa persona potrebbe essere “Ciao Ken!”, giusto? Per gli anglofoni e per gli italofoni lo è di certo.
Traducendo in modo letterale in giapponese una frase così semplice, non si farebbe altro che offendere l’utente a causa della scortesia dovuta al saluto dell’interfaccia. In Giappone ci si rivolge alle altre persone secondo diversi livelli di formalità e rispetto. Questi si traducono nella lingua attraverso i cosiddetti suffissi onorifici, i quali consistono in diverse forme linguistiche che esprimono i rapporti e la gerarchia sociale tra le persone.
Un’interfaccia che si rivolge all’utente in modo informale, ad esempio con “Ciao Ken!”, è inconcepibile in Giappone. Quindi Shopify ha dovuto tenere conto di questa realtà culturale nel momento in cui si è trovata a creare la versione giapponese del sito. Anche per una cosa tanto semplice quanto un saluto rivolto all’utente.
Nella versione giapponese di Shopify il saluto sarebbe quindi 田中さん (Tanaka-san), che potrebbe essere tradotto con “Tanaka, signore”. Jaekl ha anche aggiunto che la traduzione più adatta sarebbe una frase del tipo “Onorato cliente, signor Tanaka, signore”. Strano, vero? Be’, in Giappone si tratta di una consuetudine.
Questo esempio dimostra che quando c’è di mezzo la traduzione, il contesto può far sì che una determinato messaggio abbia successo o meno. Più che di traduzione, i professionisti della localizzazione parlano spesso di transcreation, o transcreazione, vale da dire la trasposizione di un messaggio da una lingua all’altra, mantenendone l’intento e il contesto e assicurandosi che lo stile e il tono siano adatti ai suoi destinatari.
Gli UX writer sono designer che lavorano con le parole, e anche i designer devono tenere conto del contesto. Prima di scrivere qualunque parola si pongono molte domande: quali informazioni ha già a disposizione l’utente? Cosa si aspetta in questa fase dello user journey? Cosa potrebbe essere fonte di preoccupazione? Quale dispositivo utilizzerà? Quali sono le sue esigenze, i suoi problemi e le sue aspettative? Oltre a tante altre domande.
I professionisti della localizzazione sono già abituati a prendere in considerazione i contesti riconducibili agli utenti. Per passare allo UX writing non devono fare altro che familiarizzare con i contesti necessari per scrivere i testi relativi alle interfacce. In un certo senso devono ampliare i propri orizzonti in fatto di contesto.
3. Hanno a cuore le esigenze degli utenti
Nel corso di uno dei dibattiti che si sono tenuti durante la conferenza si è discusso dell’adattamento della localizzazione a un determinato prodotto per renderlo accessibile ad altri mercati. Melanie Heighway di Atlassian ha dichiarato che i professionisti della localizzazione dovrebbero cercare di dare l’impressione che le applicazioni siano state pensate e create appositamente per i singoli mercati. Ecco perché bisognerebbe raggiungere quanti meno compromessi possibile in termini di usabilità, anche se questo comporta del lavoro extra per i designer e gli sviluppatori che devono apportare modifiche al prodotto.
I professionisti della localizzazione che passano al ruolo di UX writer conoscono l’importanza di un’approfondita user research e sanno bene che questa consente di ottenere risultati ottimali. Svolgendo una funzione di “filtro” rispetto a un intero gruppo di utenti che parlano lingue diverse o provengono da contesti diversi, si impegnano affinché ogni utente possa vivere la migliore esperienza possibile.
L’intervento di Rahel Anne Bailee riguardava la localizzazione in ambito sanitario. In questo contesto i professionisti della localizzazione possono avere a che fare con informazioni personali e alquanto riservate. A seconda delle specifiche sensibilità a livello culturale, la traduzione può farsi complicata. Bailee ha fatto un paragone diretto con i professionisti dell’esperienza utente, i quali si trovano a fornire servizi di alta qualità ma allo stesso tempo devono destreggiarsi tra empatia, sensibilità al contesto e personalizzazione.
Ha fornito alcuni esempi interessanti in fatto di genere. In India, ad esempio, è stato ufficialmente riconosciuto il terzo genere. In altre culture invece i riferimenti all’alcol o ai farmaci possono risultare alquanto problematici. In altre culture ancora le questioni di tipo medico come ad esempio il controllo delle nascite o le cure palliative possono essere argomenti tabù.
I professionisti della localizzazione devono essere consapevoli di questi aspetti e comprenderne la problematicità per evitare di turbare o offendere il pubblico di riferimento.
Si può quindi affermare che i professionisti della localizzazione, proprio come gli UX writer, siano dei veri e propri alleati degli utenti.
4. Vogliono essere coinvolti fin dalle prime fasi del processo
Per molti UX writer si tratta di una seccatura. Capita spesso che il design relativo a un prodotto digitale sia pronto e sia già stato approvato. Poco prima di passare alla fase di sviluppo alla persona che deve “occuparsi delle parole” viene chiesto di procedere a un rapido controllo dei testi relativi all’interfaccia. Gli viene chiesto di sistemare l’ortografia e la grammatica o di sostituire il “Lorem ipsum” con qualcosa di sensato. Come molti UX writer ben sapranno, spesso e volentieri è proprio qui che prendono il via diverbi e discussioni.
Fin troppo spesso i team addetti allo sviluppo dei prodotti si concentrano sui contenuti soltanto alla fine del processo di design. Così facendo in fase di design non si tiene conto della funzione di ciascun contenuto. In teoria i team addetti allo sviluppo dei prodotti dovrebbero iniziare a riflettere su come ogni contenuto possa guidare l’utente attraverso l’interfaccia e aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi. In questo modo è possibile evitare o limitare i problemi di design nelle fasi successive del processo.
I professionisti della localizzazione si trovano ad affrontare sfide analoghe e hanno portato avanti battaglie simili a quelle degli UX writer. A causa di una serie di differenze intrinseche tra le lingue, alcune interfacce non possono essere rese in un’altra lingua senza che si verifichino problemi o errori più gravi.
Convenzioni quali la punteggiatura, l’uso di simboli o il formato delle date possono confondere gli utenti. Se negli Stati Uniti “”10/08” indica l’8 ottobre, la stessa data in Francia sta a indicare il 10 agosto. Nel caso dei prodotti digitali relativi al trasporto aereo o ferroviario, gli utenti potrebbero acquistare biglietti per la data sbagliata, qualora questi non fossero localizzati nel modo corretto.
Un ulteriore esempio consiste nelle forme plurali dei sostantivi preceduti da numeri. In italiano il plurale di “tavolo” è “tavoli”, a prescindere dal numero che precede il sostantivo. In polacco, invece, il plurale di “tavolo” (stół) assume forme diverse a seconda del numero. Avremo quindi 2, 3 e 4 “stoły”, ma 5, 6 o più “stołów”. Nelle interfacce in cui le parole devono essere rese al plurale in base alle richieste degli utenti, gli sviluppatori saranno ben felici di essere messi a conoscenza di questa informazione in anticipo.
Inoltre, la lunghezza delle parole o delle frasi in una determinata lingua può far risultare complicata la relativa localizzazione. Alcune lingue sono piuttosto compatte, mentre altre sono naturalmente lunghe, come ad esempio il tedesco. Rendere in tedesco un’interfaccia pensata in lingua inglese rappresenterà di certo un problema in termini di spazio.
Nel corso di un dibattito Andy Andersen di Tinder ha dichiarato che il suo impegno per promuovere il coinvolgimento dei professionisti della localizzazione fin dalle prime fasi del processo di design ha dato i suoi frutti. Per evitare ai loro colleghi tedeschi inutili grattacapi durante la traduzione dell’interfaccia, i designer americani sanno di dover lasciare uno spazio extra per le altre lingue.
A volte la sintassi di una lingua può causare problemi, se non altro nei casi in cui il design impone un determinato ordine delle parole all’interno di una frase. Chris Jaekl di Shopify ha condiviso l’immagine riportata di seguito, relativa alla localizzazione di un’interfaccia dall’inglese al giapponese. È evidente che designer e sviluppatori abbiano avuto un bel da fare per assicurarsi che tutto funzionasse come previsto.
Questo è solo un esempio utile per capire che tipo di problemi possono presentarsi durante la localizzazione di un’interfaccia in giapponese. Con l’aiuto dei professionisti della localizzazione, gli sviluppatori hanno dovuto riorganizzare il codice per far sì che avesse senso per gli utenti della lingua di destinazione. Come potrete immaginare, si è trattato di un’operazione complessa e probabilmente anche molto costosa!
E che dire della localizzazione in lingue che non vanno lette da sinistra a destra come ad esempio l’ebraico, l’arabo e il farsi. Gilad Almosnino, consulente per l’internazionalizzazione dei software, ha parlato di questo specifico problema e delle sfide che può comportare rispetto al layout dell’interfaccia utente.
Ha descritto il principio del mirroring dell’interfaccia utente, grazie al quale i designer possono creare l’immagine speculare di un’interfaccia per dare vita a un’interazione e a un flusso simili sia per le interfacce che si leggono da sinistra verso destra che per quelle che si leggono da destra verso sinistra.
Ha inoltre parlato della sfida rappresentata dall’inserimento di parole che si leggono da sinistra verso destra nelle interfacce che si leggono da destra verso sinistra. Ha citato l’esempio del catalogo IKEA in ebraico, dove il titolo include una parola in svedese. Ciò significa che il lettore deve cambiare la direzione di lettura a metà frase per una sola parola, per poi tornare alla direzione originale in ebraico.
Almosnino ha spiegato che in fase di compilazione del codice bisogna tenere conto di questi casi attraverso i caratteri di controllo Unicode BIDI (bidirezionali), vale a dire specifiche porzioni di codice che stanno a indicare che la direzione di lettura cambia a un certo punto del testo.
Anche se i professionisti della localizzazione vengono coinvolti fin dalle fasi iniziali, la localizzazione di un’interfaccia che prevede una variazione della direzione di lettura rappresenta per forza di cose una sfida. Se non volete che i vostri colleghi designer e sviluppatori abbiano gli incubi, assicuratevi di coinvolgere le persone giuste.
Patricia Gómez Jurado dell’azienda produttrice di videogiochi King e Mario Ferrer di Skyscanner hanno tenuto un intervento congiunto sul perché professionisti della localizzazione e UX writer dovrebbero operare a stretto contatto, o perfino far parte dello stesso team. A quanto pare sono tra i primi a coinvolgere sia gli UX writer che i professionisti della localizzazione a partire dalle fasi iniziali del processo di design.
Durante il loro intervento hanno parlato del fatto che ogni settimana organizzano una o due riunioni nel corso delle quali i designer presentano le loro ultime creazioni ai colleghi che si occupano di localizzazione. In questo modo le problematiche di design legate alla lingua possono essere rilevate fin da subito e i designer possono individuare modi alternativi per rendere i loro progetti più adatti alla localizzazione.
Utilizzano inoltre strumenti collaborativi come Lokalise e Figma per far sì che tutti siano a conoscenza degli aggiornamenti relativi ai vari progetti di design. In questo modo chi si occupa di localizzazione può individuare e segnalare potenziali problematiche in qualunque fase del processo.
Com’è ovvio i professionisti della localizzazione hanno molte altre doti, ma quelle che ho citato sono sufficienti a far capire perché è molto probabile che siano anche degli ottimi UX writer.
Se vi occupate di localizzazione e non conoscete ancora lo UX writing, vi consiglio di approfondire l’argomento! Chissà… anche voi potreste essere folgorati dallo UX writing proprio come è capitato a me un paio di anni fa!